La città di Indro
Quello che sono diventato lo devo a Milano ma quello che sono, quello che è il mio carattere, lo devo a Fucecchio.
Con queste parole, più volte ripetute, Indro Montanelli (1909-2001) esprime il profondo legame con la sua città natale, una radice che fu alla base della sua personalità, della schiettezza con la quale ha condotto le sue battaglie, della sua stessa scrittura, asciutta e incisiva. Una volta ebbe a confessare: “Forse nella mia vita ho sempre cercato Fucecchio”, un luogo che gli era rimasto nel cuore, nonostante il successo e i suoi innumerevoli viaggi in tutti i continenti. Parafrasando le parole del grande giornalista, questo itinerario invita a cercare Montanelli proprio nella sua amata Fucecchio.
Per maggiori informazioni sull’opera di Montanelli e sulle attività promosse dalla Fondazione Montanelli Bassi visita il sito www.fondazionemontanelli.it.
Il sogno di Montanelli
Mi chiamo Indro
Mi chiamo Indro.
Le ragioni per cui, al fonte battesimale, mi fu impartito questo nome, sono assai complesse e hanno un contenuto politico e sociale. Voglio raccontarvele perché da esse potrete ricavare molti lumi circa la mia origine e l’ambiente in cui sono nato e cresciuto.
Dovete sapere che Fucecchio, mia patria, è un paese di Valdarno, sito a mezza strada fra Pisa e Firenze. E’ un paese abbastanza antico, sviluppatosi intorno al nocciolo feudale di un castello fiorentino, come sono molti paesi di quella contrada. […] Con l’andar del tempo, il paese si mise a scendere in basso, verso la piana, l’Arno e le sue strade. Qui si adagiò e prese a ingrossare soprattutto come mercato agricolo. Poiché è buona regola di ogni borgata toscana di dividersi sempre in due fazioni, Fucecchio si divise in “insuesi” e “ingiuesi”. Gl’insuesi erano quelli che stavano per in su, cioè nella parte antica, intorno al castello e alla Chiesa della Collegiata; ingiuesi quelli che stavano per in giù, cioè lungo le strade provinciali che menano a Firenze, a Pisa e a Lucca.
[…] Il matrimonio fra mia madre, insuese, e mio padre, ingiuese, fu uno dei grossi affari della Fucecchio d’anteguerra. Mia madre apparteneva alla famiglia dei Dòddoli che era, come ho detto, una delle più cospicue, forse la più cospicua, delle casate insuesi. Non so di dove venisse con precisione questa casata perché la mia conoscenza genealogica non risale più in là di mio nonno. Ma non credo che fosse molto antica del posto. La sua forza veniva più dai quattrini che dalla tradizione. Il palazzo, che era il più fastoso di tutta Fucecchio, era stato comprato da mio nonno Alessandro, che vi teneva un banco per la mercatura all’ingrosso dei cotoni. […] Rosamunda – che era una bella donna, di una bellezza fredda e spietata come i suoi occhi – ebbe da Alessandro sette figli, quattro maschi e tre femmine: mia madre Maddalena fu la quinta. Li partorì senza un lamento e li allevò senza una carezza, ben decisa a sacrificare tutte le femmine a tutti i maschi.
Dei quattro rampolli maschi, due studiarono e diventarono uno avvocato e l’altro medico; e due invece, con grande disperazione di Rosmunda, non ne ebbero voglia. L’avvocato seguì le scuole a Firenze, poi in Svizzera e infine a Pisa. Quando era a Firenze, fu compagno di scuola di mio padre, di cui è giunta l’ora di parlarvi.
Mio padre era ingiuese e di famiglia oscura, sebbene ci siano, a Fucecchio, dei Montanelli abbastanza celebri per via di un rivoluzionario del ’48 cui i fucecchiesi hanno dedicato un monumento. Ma i Montanelli cui mio padre apparteneva erano di un altro ramo, il ramo povero evidentemente, e mio nonno Raffaello aveva un forno. […] Al forno ci stava sua moglie Edvige, detta Eduige, che gestiva anche una trattoria e che, attiva e avara, mandava avanti la famiglia composta di quattro figli: una femmina e tre maschi. Dei maschi, mio padre Sestilio era il più promettente, studiava bene e con ottimi risultati; perciò su di lui si concentravano le speranze e le risorse della famiglia che decise di farne un professore di lettere. […] A scuola fu compagno di Alberto Dòddoli che, intelligentissimo e sfaticato, si lasciava fare i compiti da Sestilio. A quest’ultimo, tornato dalle vacanze in paese, l’amicizia con Alberto consentì di ascendere a Palazzo Dòddoli e di conoscervi mia madre. Il resto ve l’immaginate. Ma non v’immaginate, invece, la guerra che Rosmunda fece a Sestilio il quale, per ingraziarsela, riuscì a furia di ripetizioni, a far prendere la licenza liceale a Curtatone, il settimo dei figli Dòddoli. Un po’ questo, un po’ l’intercessione del sindaco e dell’arciprete, permisero finalmente a mio padre d’impalmare mia madre. […]
Questi, che insegnava allora alle tecniche del paese, si portò la moglie per in giù, in una villetta con giardino, e, ottenuta la grazia, riabbracciò in pieno le sue idee sovversive. Poco dopo mia madre rimase incinta. Subito Rosmunda calò dal poggio a riprendersi la figliola perché l’erede nascesse per in su. Infatti nacqui per in su, il 22 aprile 1909. Ma poco dopo, essendosi Rosmunda ammalata, mio padre venne a riprendersi la consorte e la prole e, per vendicarsi, si mise con ostinazione a cercare per me un nome che non fosse né nella famiglia, né nel calendario.
Lo trovò.
Da “Gente qualunque”, Bompiani 1942, in Antologia di scrittori fucecchiesi, Edizioni dell’Erba (1990)
Le stanze, la villa, il luogo del riposo
L’unico consiglio che mi sento di dare – e che regolarmente do – ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio.
Le stanze di Indro
A Fucecchio, un itinerario dedicato a questo straordinario personaggio del Novecento non può che partire dalla Fondazione Montanelli Bassi (www.fondazionemontanelli.it), da lui stesso costituita nel 1987. Qui, nelle stanze ricche di storia e di suggestioni del Palazzo della Volta si avverte ancora l’inconfondibile presenza di Indro.
Dal 2001, per volontà testamentaria, la Fondazione ospita gli studi di Milano e di Roma, qui trasferiti integralmente, con tutti i libri, le carte, gli oggetti personali e gli arredi, che raccontano meglio di ogni biografia, la personalità e le passioni di Montanelli.
Entrando nello studio milanese, si è portati ad avvicinarsi alla solida scrivania in legno, costruita dal “nonno” Emilio Bassi all’inizio del Novecento, dove la famosa macchina da scrivere Lettera 22 “riposa”, dopo tanti anni di lavoro sotto le instancabili dita di Indro. L’agenda con gli ultimi appuntamenti, la poltrona preferita, i libri autografati da altri celebri letterati, le fotografie presenti nello studio romano e la biblioteca, dove si conservano tutte le sue opere, lasciano intravedere un lato nascosto e più intimo del giornalista che in queste stanze appare meno distante. Il legame di Montanelli con la sua Fucecchio è testimoniato inoltre dalla presenza di una collezione di opere del concittadino Arturo Checchi, che volle donare alla sua Fondazione.
Villa Bassi, ovvero il giardino dei ciliegi
Nella vicina località delle Vedute c’è un altro luogo che fu molto caro a Indro: si tratta di Villa Bassi, dove da ragazzo trascorse molto tempo ospite della famiglia del Sindaco Emilio Bassi, i cui figli prendevano ripetizioni dal padre di Montanelli. Nei suoi scritti il giornalista parla della villa come del “giardino dei ciliegi” e confessa il suo “sogno delle Vedute”, in cui immaginava di tornare in questo luogo della sua giovinezza e di incontrare un altro sé stesso, che lo accusava di aver tradito le sue radici. La villa è di proprietà privata ma è comunque visibile dalla strada.
L’addio di un “genio compreso”
Le ceneri di Montanelli riposano in un’urna all’interno della tomba di famiglia nel cimitero comunale di Fucecchio. Forse non tutti lo sanno, ma Indro, sin dagli anni ’50, aveva l’abitudine di annotare qua e là, dove gli capitava, ipotetici (e dobbiamo dirlo, caustici) epitaffi per le tombe di personaggi famosi che, nel corso della sua lunga e avventurosa vita, ebbe modo di incontrare. E non risparmiò certo sé stesso per il quale con grande autoironia scrisse:
Genio compreso
spiegava agli altri
ciò
ch’egli stesso
non capiva.
L’intera collezione di taglienti epitaffi è invece raccolta nel divertente saggio Ricordi sott’odio. Ritratti taglienti per cadaveri eccellenti (Rizzoli, 2011).
La libertà in un nastro
Sabato 22 aprile 2017 è stata inaugurata a Fucecchio la scultura di Marco Puccinelli dal titolo “La libertà in un nastro – Lettera 22”, dedicata alla figura di Indro Montanelli. Realizzata in acciaio inossidabile, un materiale eterno come il pensiero del giornalista di Fucecchio, l’opera è stata scoperta in occasione della ristrutturazione di Piazza della Ferruzza. È così che l’artista ne parla:
L’idea di una scultura dedicata a Montanelli nasce nel 2008, subito dopo la realizzazione dell’opera per Enzo Biagi. Sono nato a Fucecchio, era di Fucecchio, mi è sembrato una conseguenza naturale dedicare una scultura al nostro concittadino più illustre.
Da parte mia, però, voglio sottolineare che questo non è solo un aspetto parrocchiale, c’è grande stima per lo scrittore e giornalista Montanelli, a mio parere il più grande. Per quanto riguarda il fatto che Montanelli, durante la sua vita, ha ricordato più volte che non gli piaceva un monumento, posso dire questo: il mio lavoro non rappresenta la sua immagine ma i suoi pensieri, i fatti che ha raccontato e le sue idee a volte scomode.
Tutto questo imprigionato nel nastro della macchina da scrivere come se fosse per me la tavolozza con colori e pennelli. Il mio lavoro è una sintesi del suo pensiero. Non ho assolutamente cercato una rappresentazione dell’immagine.
In precedenza Puccinelli aveva già realizzato una scultura, anche in acciaio, per un altro grande giornalista: Enzo Biagi, cittadino onorario di Fucecchio dal 2002. L’opera, intitolata “La pace in una penna”, è stata inaugurata nel 2008.